Saperi negati

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Raccolta di Saperi e Pensieri negati (ai più) dall'inconsapevolezza (altrui e propria) e da altre Cause.

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    Il fenomeno della dissolvenza nella ricerca oncologica

    pinodd
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    Il fenomeno della dissolvenza nella ricerca oncologica Empty Il fenomeno della dissolvenza nella ricerca oncologica

    Messaggio Da pinodd Sab 06 Set 2008, 20:13

    Quinto argomento statistico: Il fenomeno della dissolvenza. Dal mio libro “Il cancro è un fungo”

    Uno degli argomenti più enigmatici che permea la teoria e la pratica oncologica attuale, è quello che riguarda il senso e la validità delle ricerche scientifiche, volte a trovare quei presidi terapeutici in grado di risolvere la malattia neoplastica.

    Una densa coltre di nebbia, difatti, avvolge questo mondo che, pur nello scorrere degli anni, anzi dei decenni, rimane tuttora inafferrabile e misterioso.

    Va bene la complessità dell’oggetto da trattare; va bene l’affidabilità delle massime strutture di ricerca mondiali che in un certo modo garantiscono quanto di meglio si possa fare; rimane però il fatto che dopo oltre 50 anni di sperimentazioni, il tasso di morte per cancro non è in diminuzione, ma in forte aumento in tutte le aree geografiche del mondo.

    Le ricerche attuali risultano quindi tutte inutili, nonostante che, da ogni singolo ricercatore, in ogni singolo studio o trial clinico venga dimostrato questo o quell’aspetto positivo, capace di comprendere i meccanismi cellulari del cancro e di migliorarne così la terapia, a beneficio dei pazienti.

    Se si esegue, difatti, una semplice operazione mentale preliminare, quella cioè di moltiplicare l’incremento positivo dichiarato da ciascun ricercatore, per il numero delle sostanze farmacologicamente efficaci scoperte da ciascuno studio effettuato, sicuramente la terapia oncologica avrebbe un potere di risoluzione del 100%. Questo però è palesemente falso.

    Dove sta allora l’imbroglio? Come è possibile che ogni ricercatore sia convinto della bontà dei suoi studi, con tanto di pubblicazioni ed enfasi giornalistiche, nonostante lo stato di fallimento completo dell’oncologia?

    Siamo di fronte a persone in malafede? o incapaci di ragionare? o peggio a indolenti e ignavi individui che si nascondono dietro il paravento del conformismo, cioè dell’ “usualmente accettato e condiviso”?

    Non entrando nei particolari delle dinamiche psicologiche degli “scienziati”, appare utile però capire il meccanismo che consente a chicchessia di trovare qualcosa di buono in quello che studia, capire cioè come sia possibile che tutti abbiano ragione pur nell’inconcludenza totale.

    Senza dubbio il fenomeno della “dissolvenza” gioca un ruolo di primo piano nel verniciare di vero le più insulse verità, facendo perdere le tracce della menzogna in un ingannevole percorso di deduzioni dall’apparenza veritiera ma dal contenuto approssimativo.

    Qualsiasi studio oncologico, riguardante i chemioterapici, gli inibitori ormonali, gli anticorpi monoclonali, gli anti angiogenici o quanto di più innovativo possa essere escogitato in funzione terapeutica, risulta affetto da questa stortura, che riesce a suggestionare a tal punto gli studiosi da nascondere ai loro stessi occhi la più completa impotenza scientifica.

    Si consideri a tal riguardo un argomento che può valere come esempio per tutti: la terapia ormonale del cancro del seno.

    In particolare, per restringere il campo di indagine, si prendano le recenti molecole ad azione anti ormonale come gli inibitori dell’aromatasi o gli antiestrogeni puri, e si cerchi di analizzare il percorso teorico e logico che porta a concludere che queste sono sostanze efficaci nella terapia contro il cancro della mammella.

    Sfogliando gli articoli scientifici degli ultimi 5 anni, ci si accorge che essi partono dalla considerazione di base, esplicita o implicita e comunemente accetta, che il 70% dei tumori del seno sono ormonosensibili, la qual cosa proietta già di per sé una luce di accettabilità e di plausibilità per gli studi in materia.

    Analizzando con più attenzione gli studi però, ci si accorge che essi si fondano su un’altra considerazione, e cioè che dei tumori ormonosensibili, a loro volta solo il 70% di essi risponde a una terapia ormonale.

    Cosa significa “rispondere”? Significa, secondo gli studi, che le sostanze farmacologiche impiegate sono in grado di migliorare alcuni parametri della malattia, come la risposta obiettiva, il tempo di progressione, la qualità di vita e tanti altri.

    Considerando per semplicità solo la risposta obiettiva (OR), che indica il numero di pazienti che dopo trattamento denotano una regressione del tumore, in quasi tutti gli studi si evidenzia che questa oscilla in genere dal 20 al 30% dei casi, un dato che sembra avere, preso così seccamente, una certa significatività.

    Entrando però più nel dettaglio degli studi, si accorge che la risposta obiettiva OR è composta di due elementi: la risposta completa CR e la risposta parziale PR, che stanno generalmente in un rapporto di 1:10. Vale a dire che su 10 pazienti che rispondono alla terapia, 9 hanno una diminuzione della massa, che inevitabilmente si riespanderà in tempi brevi, mentre solo 1 riesce ad avere la regressione completa.

    Facendo alla fine i dovuti calcoli, si può facilmente vedere che tutti gli studi sull’efficacia delle terapie ormonali del cancro del seno, si riducono ad una bolla di sapone, cioè sono inutili.

    Difatti:

    Si parte dal 70% di pazienti con tumore ormonosensibile, cioè che hanno recettori ormonali positivi.
    Di questo 70%, risponde il 70% alle terapie; siamo allora al 50% dei malati totali.
    Di questo 50% hanno una risposta obiettiva al massimo il 30%, cioè il 15% del totale.
    Di questo 15%, infine, solo il 10% ha una regressione completa, cioè 1,5% del totale.
    Per qualsiasi studioso, è chiaro che questo dato non ha senso perché, rientrando in un valore di errore generico, previsto convenzionalmente fino al 5% delle valutazioni e misurazioni, non possiede nessuna significatività. La regressione visualizzata potrebbe dipendere da un’infinità di fattori, dall’errore diagnostico all’intervento divino, che poco hanno a che vedere con l’efficacia del farmaco utilizzato.

    Queste risultanze, già di per sé sufficienti a dimostrare la vacuità degli studi e delle terapie effettuate, diventano ancor più ridicole quando vengano proposti degli studi che cerchino di sottolineare la superiorità di una sostanza farmacologia anti ormonale rispetto ad un’altra.

    Se si prendono ad esempio le varie molecole esistenti, tamoxifen, anastrozolo, letrozolo, exemestano, fulvestrant ecc. si può notare che generalmente l’efficacia varia nell’ordine del 5% da un farmaco all’altro. Questa, rapportata all’1,5% dei pazienti che rispondono, indica una variazione dello 0,01% e dimostra solo la perfetta idiozia degli studi che si effettuano.

    Sic est! Moltiplicando questi dati per ogni sostanza antineoplastica utilizzata nelle terapie oncologiche, risulta chiaro perché il tumore continui indisturbato ad uccidere milioni di persone.

    Dr. Tullio Simoncini

    Fonte: http://www.curenaturalicancro.org/fenomeno_dissolvenza.htm

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