"Etica della terra" Di Pagano P.
articolo apparso su "Oltre" n.5, Marzo 2001, pp. 8-11
Le posizioni antropocentriche e biocentriche che hanno ispirato e continuano a influire sul rapporto dell'uomo con la natura, per quanto divergenti, possono trovare un terreno di confronto.
E' fondamentale al riguardo considerare i concetti di conservazione e quindi di sviluppo sostenibile e di preservazione (tutela integrale della natura) per chiarire i presupposti scientifici, sociali e quindi etici del dibattito.
Nei primi decenni del 1900 il principio di conservazione della natura di Pinchot (1) divenne il sistema d'eccellenza per la gestione del territorio demaniale negli Stati Uniti d'America e il game management (ovvero la "gestione della selvaggina") fu una delle attività per il controllo della fauna.
Gli esperti di allora, preoccupati di salva guardare gli interessi dei cacciatori che amavano sparare ai grandi erbivori, decisero che era arrivato il momento di sterminare i predatori. Lupi, puma, coyote e orsi grigi, colpevoli di uccidere cervi e quindi danneggiare la nobile(?) arte venatoria, furono presi di mira dai selvicoltori federali che ne abbatterono a migliaia. Le conseguenze ecologiche furono drammatiche. I cervi, non più sottoposti alla selezione naturale, crebbero talmente tanto in numero che distrussero tutto il verde calpestabile e mangiarono tutto il verde commestibile. Il risultato fu una terribile lezione per coloro i quali credevano la gestione ecologica un compito facile: i pascoli vennero gravemente danneggiati e i cervi morirono di fame.
Tra gli agenti forestali responsabili di quello scempio c'era anche un uomo, un funzionario di nome Aldo Leopold (1887-1948), che aveva passato anni tra le zone selvagge dell'Arizona e dei New Mexico. La pratica lo aveva reso cosi esperto che il suo libro Game Management, pubblicato nel 1933, divenne uno dei principali testi. Ma proprio l'esperienza sul campo gli cambiò la vita. Un giorno sparò ad un lupo ma invece di gioire per il colpo andato a segno rimase rapito dall'"intenso fuoco verde" (2) dello sguardo dell'animale morente.
Fu come il risveglio da un lungo torpore. Quell'espres-sione fiera ed intelligente gli aveva aperto la mente. La natura non era solo un oggetto di cui l'uomo poteva disporre a piacimento. Leopold capì che rimanendo ancorati alle banalità quotidiane il pensiero diventa incapace di percepire la grandiosità della natura.
Prese allora spunto dal pensiero dei filosofo russo Piotr Demianovich Ouspensky, suo contemporaneo (1878-1947), ed iniziò a "pensare come una montagna". La sua non fu una "rivelazione" religiosa o un atto di fede. Leopold ragionò secondo i modemi principi ecologici.
La colla che manteneva unito il tutto non era il Dio della "ecologia teologica" del naturalista romantico Henry David Thoreau (1817-1862) o il "nuomena" di Ouspensky, ma i collegamenti alimentari ed energetici dell'ecologia. Quando Leopold morì, il suo saggio, A Sand County Almanac (3) non era stato ancora pubblicato e ci volle molto tempo perché uscisse dall'anonimato.
Ma oggi un breve capitolo di quel libro semplice, intitolato l'"Etica della Terra" (Land Ethic) è universalmente riconosciuto come la pietra miliare dell'ambientalismo olistico. Nessuno, fino ad allora, aveva pensato ad un'etica che operasse a livello di specie o più ampiamente a congregazioni di specie, habitat e persino a processi ecosistemici. In quel breve ragionamento Leopold sostiene che l'etica umana impone dei limiti al singolo uomo in quanto parte di una comunità di parti interdipendenti: la società umana.
Ma, allargando il ragionamento, se la specie umana riconosce il suo ruolo di parte integrante delle comunità ecologiche deve anche, automaticamente, riconoscere i diritti della natura.
Così scrive: "Un'etica della terra non può certo impedire la modifica, la gestione e l'uso di queste 'risorse' [terreno, corsi d'acqua, piante, animali ecc.], ma afferma il diritto che esse continuino a esistere e, almeno in certi luoghi particolari, possano conservare il loro stato naturale" (3').
Leopold sottolineò anche che "[...] la maggior parte dei membri della comunità terrestre non ha valore economico. I fiori selvatici e i passeracei ne sono un esempio. [...] Eppure queste creature sono membri della comunità biotica e se [...] la stabilità di questa dipende dalla sua stessa integrità, essi hanno ogni diritto di continuare a esistere" (3").
In ultima analisi l'uomo deve adoprarsi per un "funzionamento salubre" dei meccanismo biotico secondo il criterio per cui: "Una decisione è giusta quando tende a preservare l'integrità, la stabilità, la bellezza della comunità biotica. E' sbagliata quando tende all'opposto".
La consapevolezza di essere "compagni di viaggio" degli altri esseri naturali implica che la natura ha un valore proprio indipendente da quello che gli dà l'essere umano. "In breve, un'etica terrestre modifica il ruolo dell' Homo sapiens da conquistatore della terra a semplice membro e cittadino della sua comunità" (4).
Antropocentrismo e biocentrismo
I principi connessi con l'etica della terra mettono in luce un aspetto fondamentale nel nostro rapportarci con la natura. La tradizione giudaico-cristiana riservava all'uomo il predominio sulla Terra. L'uomo, secondo la Bibbia, era fatto ad immagine e somiglianza di Dio. Nel libro della Genesi è scritto: "Dio disse: -Facciamo l'uomo: sia simile a noi, sia la nostra immagine. Dominerà sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, sugli animali selvatici e su quelli che strisciano al suolo-" (5).
Anche dopo aver punito i peccatori col Diluvio Universale, il Creatore ribadì a Noé e ai suoi figli quanto detto in precedenza: "Tutti gli animali: il bestiame, gli uccelli, gli animali selvatici e i pesci, avranno timore e paura di voi. Di tutto potrete disporre: [... ]" (6). Con l'etica della terra, torna alla ribalta la concezione cristiana minoritaria della natura.
Fatta risalire a Francesco di Assisi (7) essa mette le creature sullo stesso piano (al cospetto di Dio siamo tutti fratelli e sorelle) e l'uomo diviene il prescelto perché sia il saggio amministratore delle cose terrene. Ecco allora che il significato di preservazione si fa più chiaro. Lasciare spazio alla natura selvaggia affinché possa evolversi naturalmente non è più una gentile concessione che l'uomo dà all'ambiente, così come intende la conservazione. Bensì lasciare intatte le aree naturali è un diritto stesso della natura.
Non è semplice, nè tutti sono d'accordo però sul come attuare una buona politica di tutela della natura. Se la conservazione come vedremo meglio in un successivo articolo, mira all'uso saggio delle risorse naturali per fare in modo che l'ambiente continui a soddisfare i bisogni dell'uomo, la politica della conservazione tende comunque a massimizzarne la produttività per il bene esclusivo degli uomini.
Quando invece si vuol parlare di preservazione, bisogna lasciare la natura del tutto indisturbata. L'uomo cioè non deve metterci mano, non può arrogarsi il diritto di fare ciò che vuole per il fatto che la natura ha un suo valore intrinseco ed esisterebbe anche senza l'uomo. Anzi, secondo Taylor: "La nostra presenza qui non è assolutamente necessaria. Svariate specie ed ecosistemi starebbero certamente meglio senza di noi.
Nel mondo ci sarebbe meno inquinamento, più spazio, più varietà. Insomma la nostra dipartita sarebbe salutata con entusiasmo dal mondo naturale" (. Scopriamo che gli stessi termini conservazione e preservazione, sono diversi proprio perché si basano su concetti filosofici opposti (antropocentrismo e biocentrismo).
Tuttavia, anche se le differenze di principio sono marcate, le azioni pratiche da compiere sul campo spesso coincidono. Lasciare più spazio alla natura selvaggia, proteggere le specie a rischio di estinzione, inquinare di meno, ad esempio, sono azioni che "fanno comodo" all'antropocentrico e, allo stesso tempo, "soddisfano" il biocentrico. Infatti, mentre dal punto di vista biocentrico la salvaguardia della natura è un fatto scontato, dal punto di vista antropocentrico la natura selvaggia trova ragion d'essere in tante motivazioni umane.
La natura selvaggia ha valore estetico, ricreativo, scientifico. Nel libro "The Diversity of Life" (9) in particolare nel capitolo tredicesimo, il grande naturalista americano Edward O. Wilson ne elenca un'infinità. La più banale è quella che nella natura selvaggia esistono miliardi di geni nel DNA di tutte le specie che aspettano solo di essere scoperti, ma anche le sostanze chimiche, estratte dalle piante e dagli animali non sono da meno perché "gli organismi sono chimici eccellenti".
Così la salvaguardia della biodiversità può essere vista, ad esempio, alla luce delle sue enormi conseguenze pratiche ed economiche. Una piantina poco appariscente del Madagascar, la pervinca rosea, produce due sostanze utilizzate per la cura dei tumori che fanno circolare ogni anno una quantità enorme di denaro. Mano a mano che la scienza scopre le ricchezze della natura selvaggia e l'ecologia rivela con sempre maggiore dettaglio le complicate leggi che governano la biosfera, le posizioni antropocentriche e biocentriche si avvicinano.
L'antropocentrismo forte è ormai tramontato e l'antropocentrismo debole si avvicina sempre più ad un biocentrismo meno integralista e più obiettivo (10). Ecco allora che la conservazione, e di conseguenza lo sviluppo sostenibile, può riconoscere il valore sistemico della natura e così avvicinarsi alla posizione dei preservazionisti.
E' questa forse la ragione per cui nel glossario dell'autorevole testo dell'UNEP (11) si trova una definizione di conservazione dove le parole sono pesate attentamente ed hanno un grande significato: "La conservazione è l'uso e la gestione giudiziosi della natura e delle risorse naturali, sia per il beneficio della società umana, che per ragioni etiche".
Piergiacomo Pagano
ENEA, Dipartimento Ambiente, Bologna.
______________________________________________________________
(1) Worster D. "Storia delle idee ecologiche" li Mulino, 1994, p.98-99.
(2) Riportato in "Nash R.F. "Thc Rights of Nature", The University of Winsconsin Press, 1989, p. 64.
(3) Leopold A. "A Sand County Almanac" Word Univ. Press, 1949. In italiano: "Almanacco di un mondo semplice" Red edizioni, 1997.
(3) Leopold A. "Almanacco di un mondo semplice" Red edizioni, 1997, p. 165.
(3") Leopold A. "Almanacco di un mondo semplice" Red edizioni, 1997, p. 170-1.
(4) Leopold A. "Almanacco di un mondo semplice" Red edizioni, 1997, p. 165.
(5) La "Bibbia" interconfessionale, LDC-ABU-SEI, 1999; Genesi 1, 26.
(6) La "Bibbia" interconfessionale, LDC-ABU-SEI, 1999; Genesi 9, I.
(7) Per questa sua grande visione naturalisfica San Francesco fu nominato patrono degli ecologi, era il 1980
( Taylor P.W. "Tbc Ethics of Respect for Nature" Environmental Ethics, voi-3, n-3, 1981, p. 204.
(9) Wilson E.O. "The Diversity of Life" W.W. Norton & Co., 1992, p, 283. In Italiano: "La diversità della vita" Rizzoli.
(10) Notton B.G. "Toward Unity Among Environmentalists" Oxford University Press, 1991,
(11) United Nation Environinental Program (UNEP)
"Global Biodiversity Assessment", Cambridge University Press, 1995,p. 1107.
Fonte: http://filosofia-ambientale.it/
articolo apparso su "Oltre" n.5, Marzo 2001, pp. 8-11
Le posizioni antropocentriche e biocentriche che hanno ispirato e continuano a influire sul rapporto dell'uomo con la natura, per quanto divergenti, possono trovare un terreno di confronto.
E' fondamentale al riguardo considerare i concetti di conservazione e quindi di sviluppo sostenibile e di preservazione (tutela integrale della natura) per chiarire i presupposti scientifici, sociali e quindi etici del dibattito.
Nei primi decenni del 1900 il principio di conservazione della natura di Pinchot (1) divenne il sistema d'eccellenza per la gestione del territorio demaniale negli Stati Uniti d'America e il game management (ovvero la "gestione della selvaggina") fu una delle attività per il controllo della fauna.
Gli esperti di allora, preoccupati di salva guardare gli interessi dei cacciatori che amavano sparare ai grandi erbivori, decisero che era arrivato il momento di sterminare i predatori. Lupi, puma, coyote e orsi grigi, colpevoli di uccidere cervi e quindi danneggiare la nobile(?) arte venatoria, furono presi di mira dai selvicoltori federali che ne abbatterono a migliaia. Le conseguenze ecologiche furono drammatiche. I cervi, non più sottoposti alla selezione naturale, crebbero talmente tanto in numero che distrussero tutto il verde calpestabile e mangiarono tutto il verde commestibile. Il risultato fu una terribile lezione per coloro i quali credevano la gestione ecologica un compito facile: i pascoli vennero gravemente danneggiati e i cervi morirono di fame.
Tra gli agenti forestali responsabili di quello scempio c'era anche un uomo, un funzionario di nome Aldo Leopold (1887-1948), che aveva passato anni tra le zone selvagge dell'Arizona e dei New Mexico. La pratica lo aveva reso cosi esperto che il suo libro Game Management, pubblicato nel 1933, divenne uno dei principali testi. Ma proprio l'esperienza sul campo gli cambiò la vita. Un giorno sparò ad un lupo ma invece di gioire per il colpo andato a segno rimase rapito dall'"intenso fuoco verde" (2) dello sguardo dell'animale morente.
Fu come il risveglio da un lungo torpore. Quell'espres-sione fiera ed intelligente gli aveva aperto la mente. La natura non era solo un oggetto di cui l'uomo poteva disporre a piacimento. Leopold capì che rimanendo ancorati alle banalità quotidiane il pensiero diventa incapace di percepire la grandiosità della natura.
Prese allora spunto dal pensiero dei filosofo russo Piotr Demianovich Ouspensky, suo contemporaneo (1878-1947), ed iniziò a "pensare come una montagna". La sua non fu una "rivelazione" religiosa o un atto di fede. Leopold ragionò secondo i modemi principi ecologici.
La colla che manteneva unito il tutto non era il Dio della "ecologia teologica" del naturalista romantico Henry David Thoreau (1817-1862) o il "nuomena" di Ouspensky, ma i collegamenti alimentari ed energetici dell'ecologia. Quando Leopold morì, il suo saggio, A Sand County Almanac (3) non era stato ancora pubblicato e ci volle molto tempo perché uscisse dall'anonimato.
Ma oggi un breve capitolo di quel libro semplice, intitolato l'"Etica della Terra" (Land Ethic) è universalmente riconosciuto come la pietra miliare dell'ambientalismo olistico. Nessuno, fino ad allora, aveva pensato ad un'etica che operasse a livello di specie o più ampiamente a congregazioni di specie, habitat e persino a processi ecosistemici. In quel breve ragionamento Leopold sostiene che l'etica umana impone dei limiti al singolo uomo in quanto parte di una comunità di parti interdipendenti: la società umana.
Ma, allargando il ragionamento, se la specie umana riconosce il suo ruolo di parte integrante delle comunità ecologiche deve anche, automaticamente, riconoscere i diritti della natura.
Così scrive: "Un'etica della terra non può certo impedire la modifica, la gestione e l'uso di queste 'risorse' [terreno, corsi d'acqua, piante, animali ecc.], ma afferma il diritto che esse continuino a esistere e, almeno in certi luoghi particolari, possano conservare il loro stato naturale" (3').
Leopold sottolineò anche che "[...] la maggior parte dei membri della comunità terrestre non ha valore economico. I fiori selvatici e i passeracei ne sono un esempio. [...] Eppure queste creature sono membri della comunità biotica e se [...] la stabilità di questa dipende dalla sua stessa integrità, essi hanno ogni diritto di continuare a esistere" (3").
In ultima analisi l'uomo deve adoprarsi per un "funzionamento salubre" dei meccanismo biotico secondo il criterio per cui: "Una decisione è giusta quando tende a preservare l'integrità, la stabilità, la bellezza della comunità biotica. E' sbagliata quando tende all'opposto".
La consapevolezza di essere "compagni di viaggio" degli altri esseri naturali implica che la natura ha un valore proprio indipendente da quello che gli dà l'essere umano. "In breve, un'etica terrestre modifica il ruolo dell' Homo sapiens da conquistatore della terra a semplice membro e cittadino della sua comunità" (4).
Antropocentrismo e biocentrismo
I principi connessi con l'etica della terra mettono in luce un aspetto fondamentale nel nostro rapportarci con la natura. La tradizione giudaico-cristiana riservava all'uomo il predominio sulla Terra. L'uomo, secondo la Bibbia, era fatto ad immagine e somiglianza di Dio. Nel libro della Genesi è scritto: "Dio disse: -Facciamo l'uomo: sia simile a noi, sia la nostra immagine. Dominerà sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, sugli animali selvatici e su quelli che strisciano al suolo-" (5).
Anche dopo aver punito i peccatori col Diluvio Universale, il Creatore ribadì a Noé e ai suoi figli quanto detto in precedenza: "Tutti gli animali: il bestiame, gli uccelli, gli animali selvatici e i pesci, avranno timore e paura di voi. Di tutto potrete disporre: [... ]" (6). Con l'etica della terra, torna alla ribalta la concezione cristiana minoritaria della natura.
Fatta risalire a Francesco di Assisi (7) essa mette le creature sullo stesso piano (al cospetto di Dio siamo tutti fratelli e sorelle) e l'uomo diviene il prescelto perché sia il saggio amministratore delle cose terrene. Ecco allora che il significato di preservazione si fa più chiaro. Lasciare spazio alla natura selvaggia affinché possa evolversi naturalmente non è più una gentile concessione che l'uomo dà all'ambiente, così come intende la conservazione. Bensì lasciare intatte le aree naturali è un diritto stesso della natura.
Non è semplice, nè tutti sono d'accordo però sul come attuare una buona politica di tutela della natura. Se la conservazione come vedremo meglio in un successivo articolo, mira all'uso saggio delle risorse naturali per fare in modo che l'ambiente continui a soddisfare i bisogni dell'uomo, la politica della conservazione tende comunque a massimizzarne la produttività per il bene esclusivo degli uomini.
Quando invece si vuol parlare di preservazione, bisogna lasciare la natura del tutto indisturbata. L'uomo cioè non deve metterci mano, non può arrogarsi il diritto di fare ciò che vuole per il fatto che la natura ha un suo valore intrinseco ed esisterebbe anche senza l'uomo. Anzi, secondo Taylor: "La nostra presenza qui non è assolutamente necessaria. Svariate specie ed ecosistemi starebbero certamente meglio senza di noi.
Nel mondo ci sarebbe meno inquinamento, più spazio, più varietà. Insomma la nostra dipartita sarebbe salutata con entusiasmo dal mondo naturale" (. Scopriamo che gli stessi termini conservazione e preservazione, sono diversi proprio perché si basano su concetti filosofici opposti (antropocentrismo e biocentrismo).
Tuttavia, anche se le differenze di principio sono marcate, le azioni pratiche da compiere sul campo spesso coincidono. Lasciare più spazio alla natura selvaggia, proteggere le specie a rischio di estinzione, inquinare di meno, ad esempio, sono azioni che "fanno comodo" all'antropocentrico e, allo stesso tempo, "soddisfano" il biocentrico. Infatti, mentre dal punto di vista biocentrico la salvaguardia della natura è un fatto scontato, dal punto di vista antropocentrico la natura selvaggia trova ragion d'essere in tante motivazioni umane.
La natura selvaggia ha valore estetico, ricreativo, scientifico. Nel libro "The Diversity of Life" (9) in particolare nel capitolo tredicesimo, il grande naturalista americano Edward O. Wilson ne elenca un'infinità. La più banale è quella che nella natura selvaggia esistono miliardi di geni nel DNA di tutte le specie che aspettano solo di essere scoperti, ma anche le sostanze chimiche, estratte dalle piante e dagli animali non sono da meno perché "gli organismi sono chimici eccellenti".
Così la salvaguardia della biodiversità può essere vista, ad esempio, alla luce delle sue enormi conseguenze pratiche ed economiche. Una piantina poco appariscente del Madagascar, la pervinca rosea, produce due sostanze utilizzate per la cura dei tumori che fanno circolare ogni anno una quantità enorme di denaro. Mano a mano che la scienza scopre le ricchezze della natura selvaggia e l'ecologia rivela con sempre maggiore dettaglio le complicate leggi che governano la biosfera, le posizioni antropocentriche e biocentriche si avvicinano.
L'antropocentrismo forte è ormai tramontato e l'antropocentrismo debole si avvicina sempre più ad un biocentrismo meno integralista e più obiettivo (10). Ecco allora che la conservazione, e di conseguenza lo sviluppo sostenibile, può riconoscere il valore sistemico della natura e così avvicinarsi alla posizione dei preservazionisti.
E' questa forse la ragione per cui nel glossario dell'autorevole testo dell'UNEP (11) si trova una definizione di conservazione dove le parole sono pesate attentamente ed hanno un grande significato: "La conservazione è l'uso e la gestione giudiziosi della natura e delle risorse naturali, sia per il beneficio della società umana, che per ragioni etiche".
Piergiacomo Pagano
ENEA, Dipartimento Ambiente, Bologna.
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(1) Worster D. "Storia delle idee ecologiche" li Mulino, 1994, p.98-99.
(2) Riportato in "Nash R.F. "Thc Rights of Nature", The University of Winsconsin Press, 1989, p. 64.
(3) Leopold A. "A Sand County Almanac" Word Univ. Press, 1949. In italiano: "Almanacco di un mondo semplice" Red edizioni, 1997.
(3) Leopold A. "Almanacco di un mondo semplice" Red edizioni, 1997, p. 165.
(3") Leopold A. "Almanacco di un mondo semplice" Red edizioni, 1997, p. 170-1.
(4) Leopold A. "Almanacco di un mondo semplice" Red edizioni, 1997, p. 165.
(5) La "Bibbia" interconfessionale, LDC-ABU-SEI, 1999; Genesi 1, 26.
(6) La "Bibbia" interconfessionale, LDC-ABU-SEI, 1999; Genesi 9, I.
(7) Per questa sua grande visione naturalisfica San Francesco fu nominato patrono degli ecologi, era il 1980
( Taylor P.W. "Tbc Ethics of Respect for Nature" Environmental Ethics, voi-3, n-3, 1981, p. 204.
(9) Wilson E.O. "The Diversity of Life" W.W. Norton & Co., 1992, p, 283. In Italiano: "La diversità della vita" Rizzoli.
(10) Notton B.G. "Toward Unity Among Environmentalists" Oxford University Press, 1991,
(11) United Nation Environinental Program (UNEP)
"Global Biodiversity Assessment", Cambridge University Press, 1995,p. 1107.
Fonte: http://filosofia-ambientale.it/
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