Anche la pesca non può eludere i cambiamenti climatici Martedì 03 Marzo 2009
L'industria della pesca così come le autorità nazionali preposte al suo controllo devono cominciare a prepararsi alle conseguenze derivanti dal clima. L'allarme arriva dalla nuova ricerca della Fao.
L'ultima versione sullo Stato mondiale della pesca e dell'acquacultura (The State of World Fisheries and Aquaculture, SOFIA), promossa dall'agenzia governativa dell'Onu, spiega la necessità di sviluppare pratiche "responsabili" collegate alle attività della pesca, che tengano in considerazione le problematiche specifiche sul clima.
"Le modalità già espresse, garantiscono strumenti adeguati alle flotte che maggiormente subiscono le conseguenze derivanti dal problema del clima," è l'opinione di Kevern Cochrane, uno degli autori di Sofia. "Il messaggio è chiaro: usate le migliori pratiche, come quelle divulgate dal "Codice di condotta per la pesca responsabile"( Code of Conduct for Responsible Fisheries) della Fao, e già avrete compiuto importanti passi verso la mitigazione degli effetti del cambiamento climatico."
I problemi collegati al clima già hanno cambiato la distribuzione della fauna marina e di acqua dolce. Le specie tradizionalmente da acqua meno fredda si spingono verso i poli e stanno già mutando habitat e produttività. Inoltre il clima sta condizionando la stagionalità dei processi biologici, alterando i processi di alimentazione sia marini che in acqua dolce.
Per le comunità che dipendono, per il sostentamento, in prevalenza sulla pesca, ogni alterazione nella quantità di pesce disponibile diventa un motivo di instabilità sociale.
"Molte aree hanno già raggiunto l'apice della loro capacità produttiva. Ponendo l'attenzione sull'impatto che i cambiamenti climatici possono avere sugli ecosistemi oceanici la preoccupazione sul loro futuro è grande," continua Cochrane.
La produzione ittica mondiale ha raggiunto il suo nuovo apice nel 2006 con 143.6 tonnellate ( 92 milioni di tonnellate da pesca, 51.7 milioni da acquacultura). Di queste ben 110.4 è finita sulle tavole mentre il restante è stato trasformato in mangime. L'aumento del quantitativo proviene in prevalenza dall'acquacultura, che oggi rappresenta il 47% dei consumi ittici, mentre non ci sono margini di crescita per la pesca tradizionale. Il 19% dei più importanti banchi ittici marini monitorato dalla Fao hanno raggiunto il massimo sfruttamento, un 8% risulta esaurito, un 1% è bloccato in attesa di recupero. Circa il 52% dei siti sfruttati al massimo delle capacità, stanno raggiungendo il limite sostenibile.
Le aree maggiormente sfruttate sono nel nord est dell'Atlantico, l'area occidentale dell'Oceano Indiano e il nord ovest del Pacifico
Un numero esagerato di navi e l'utilizzo di tecnologie con migliori performance, spiega lo studio, sono alla base di questa drammatica situazione.
Lo studio inoltre fotografa il ruolo fondamentale giocato dalla pesca e dall'acquacultura: sono ben 43.5 milioni le persone che lavorano nel settore, altri 4 milioni di persone risultano impiegate occasionalmente. Ma sono circa mezzo miliardo le persone, il cui sostentamento dipende, direttamente o indirettamente, dal settore e che potrebbero trovarsi a dover fronteggiare un futuro incerto.
Fonte: http://it.greenplanet.net/index.php?option=com_content&view=article&id=23472
L'industria della pesca così come le autorità nazionali preposte al suo controllo devono cominciare a prepararsi alle conseguenze derivanti dal clima. L'allarme arriva dalla nuova ricerca della Fao.
L'ultima versione sullo Stato mondiale della pesca e dell'acquacultura (The State of World Fisheries and Aquaculture, SOFIA), promossa dall'agenzia governativa dell'Onu, spiega la necessità di sviluppare pratiche "responsabili" collegate alle attività della pesca, che tengano in considerazione le problematiche specifiche sul clima.
"Le modalità già espresse, garantiscono strumenti adeguati alle flotte che maggiormente subiscono le conseguenze derivanti dal problema del clima," è l'opinione di Kevern Cochrane, uno degli autori di Sofia. "Il messaggio è chiaro: usate le migliori pratiche, come quelle divulgate dal "Codice di condotta per la pesca responsabile"( Code of Conduct for Responsible Fisheries) della Fao, e già avrete compiuto importanti passi verso la mitigazione degli effetti del cambiamento climatico."
I problemi collegati al clima già hanno cambiato la distribuzione della fauna marina e di acqua dolce. Le specie tradizionalmente da acqua meno fredda si spingono verso i poli e stanno già mutando habitat e produttività. Inoltre il clima sta condizionando la stagionalità dei processi biologici, alterando i processi di alimentazione sia marini che in acqua dolce.
Per le comunità che dipendono, per il sostentamento, in prevalenza sulla pesca, ogni alterazione nella quantità di pesce disponibile diventa un motivo di instabilità sociale.
"Molte aree hanno già raggiunto l'apice della loro capacità produttiva. Ponendo l'attenzione sull'impatto che i cambiamenti climatici possono avere sugli ecosistemi oceanici la preoccupazione sul loro futuro è grande," continua Cochrane.
La produzione ittica mondiale ha raggiunto il suo nuovo apice nel 2006 con 143.6 tonnellate ( 92 milioni di tonnellate da pesca, 51.7 milioni da acquacultura). Di queste ben 110.4 è finita sulle tavole mentre il restante è stato trasformato in mangime. L'aumento del quantitativo proviene in prevalenza dall'acquacultura, che oggi rappresenta il 47% dei consumi ittici, mentre non ci sono margini di crescita per la pesca tradizionale. Il 19% dei più importanti banchi ittici marini monitorato dalla Fao hanno raggiunto il massimo sfruttamento, un 8% risulta esaurito, un 1% è bloccato in attesa di recupero. Circa il 52% dei siti sfruttati al massimo delle capacità, stanno raggiungendo il limite sostenibile.
Le aree maggiormente sfruttate sono nel nord est dell'Atlantico, l'area occidentale dell'Oceano Indiano e il nord ovest del Pacifico
Un numero esagerato di navi e l'utilizzo di tecnologie con migliori performance, spiega lo studio, sono alla base di questa drammatica situazione.
Lo studio inoltre fotografa il ruolo fondamentale giocato dalla pesca e dall'acquacultura: sono ben 43.5 milioni le persone che lavorano nel settore, altri 4 milioni di persone risultano impiegate occasionalmente. Ma sono circa mezzo miliardo le persone, il cui sostentamento dipende, direttamente o indirettamente, dal settore e che potrebbero trovarsi a dover fronteggiare un futuro incerto.
Fonte: http://it.greenplanet.net/index.php?option=com_content&view=article&id=23472
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