Un microchip nell’euro sorveglierà l’economia MERCOLEDÌ 22 GIUGNO 2005
La Banca centrale europea studia come inserire nelle banconote un dispositivo elettronico prodotto dalla giapponese Hitachi: contrasterebbe le contraffazioni e consentirebbe di "tracciare" i movimenti di denaro delle attività illegali. Serve però una serie di infrastrutture ancora da realizzare. E c’è chi già contesta la perdita di riservatezza dei cittadini.
DI STEFANO GULMANELLI
Le voci si erano diffuse qualche tempo dopo che l’euro aveva cominciato a circolare fra le mani dei cittadini europei. Ora si riaffacciano con forza, questa volta con tanto di scadenza annessa: la Banca centrale europea (Bce) starebbe pensando di introdurre banconote che incorporino microchip in grado di trasmettere segnali radio. Chiamati in gergo Radio Frequency Identification Device (Rfid, vedi la scheda), questi dispositivi permetterebbero l’identificazione univoca e, per certi aspetti, anche la tracciabilità dei biglietti della divisa comune, rendendo più facile la lotta alla contraffazione e al riciclaggio. In particolare, una newsletter riservata al circuito bancario e assicurativo tedesco identifica nella fine del 2005 il termine previsto per l’arrivo dei primi euro "con chip". I dettagli riportati da quella che è una fonte solitamente ben informata, e spesso in possesso di notizie confidenziali, riguardano pure il produttore dei microchip da utilizzare: il colosso giapponese Hitachi, che avrebbe già firmato i contratti di fornitura e persino stipulato accordi di subappalto con altre aziende del settore, dato l’ingente quantitativo di Rfid richiesto. In effetti, l’azienda giapponese – che fonti giornalistiche del Sol Levante danno in trattativa con la Banca centrale di Tokyo su un progetto simile per le banconote da 10mila yen – ha sviluppato il "μ-chip", un microchip radio da 0,4 millimetri quadrati, piccolo a sufficienza da consentirgli di essere inglobato nella carta. Dal canto suo, la Bce, interpellata sull’indiscrezione, non conferma ma neppure smentisce: «Per ovvie ragioni non è politica della Banca rivelare dettagli relativi ai progetti di ricerca e sviluppo sulle banconote emesse», è il commento di Andrea Zizola, portavoce dell’Istituto di Francoforte. Una prudenza che, al di là del comprensibile riserbo che deve circondare le caratteristiche di sicurezza delle banconote, si spiega anche con il timore che una tale notizia possa ingenerare reazioni forti e paure – in alcuni casi già espresse da organizzazioni per i diritti civili, come lo European Digital Rights (Edri) – sul versante della privacy. D’altronde, il contante è oggi uno dei pochi strumenti di uso comune dei cittadini che ancora assicura anonimato e garanzia di non essere monitorato nei propri comportamenti. La comparsa nelle banconote di un Rfid che potrebbe tracciarne movimenti e passaggi vari – argomenta chi teme di trovarsi il Grande Fratello anche nel portafoglio – da un lato può inibire comportamenti illeciti vari, dall’altro però finirebbe con il mettere una pietra tombale su quel poco di riservatezza che la moderna tecnologia sembra ancora disposta a lasciarci. Preoccupazione legittima ma forse prematura. Nel momento in cui – alla fine dell’anno o anche più in là nel tempo – dovesse cominciare a circolare cartamoneta con il microchip, l’effettiva tracciabilità di una banconota richiederebbe infatti che ogni cambio di mano di quel biglietto fosse registrato da un apposito lettore. Ammesso che si possa obbligare la gente a fare passare in un lettore ogni banconota ricevuta, la raccolta dei dati e la loro archiviazione presso un centro di controllo richiederebbe un’infrastruttura di trasmissione radio capillare e diffusa, oggi inesistente. E una volta creata tale infrastruttura – e un giorno, almeno nelle zone più popolate, potrà esservi per agevolare le comunicazioni e la connessione mobile alla Rete –, la gestione dell’immane quantità di informazioni generata da un simile monitoraggio risulterebbe monumentale e antieconomica. È tuttavia opinione di molti osservatori che il futuro delle banconote sia comunque segnato. Nel giro di venti o trent’anni, con lo sviluppo e la diffusione delle nanotecnologie, per contraffattori e falsari diventerà infatti fin troppo semplice creare biglietti falsi. A quel punto è probabile che il contante – con o senza microchip – dovrà definitivamente cedere il passo al denaro totalmente elettronico e chiudere la sua onorata e storica esistenza di mezzo privilegiato per lo scambio economico.
I primi esperimenti con biglietti circolanti forse dalla fine dell’anno.
UN SISTEMA «RIVOLUZIONARIO»
L’«apparecchio»
Rfid è l’acronimo di Radio Frequency Identification, un microchip di minuscole dimensioni (0,4 millimetri quadrati) che agisce da transponder, ovvero invia su richiesta di un apparecchio ricetrasmittente un segnale radio con codice identificativo ed eventualmente altre informazioni in esso immagazzinate. Non necessita di batterie poiché utilizza il segnale radio che riceve per uscire dalla modalità stand by e trasmettere i dati memorizzati. La distanza massima di scambio del segnale (la "portata") è nell’ordine del metro e mezzo.
Una presenza diffusa
La comodità del Telepass, che evita le file in autostrada, è figlia di un Rfid, in particolare di quello inserito nel dispositivo fissato al parabrezza dell’auto. Ma questa tecnologia è già entrata nella nostra vita di cittadini e consumatori in svariati modi.
Quanto costa
Il costo medio attuale di un chip Rfid è di circa mezzo euro ma in un futuro scenderà – per la tipologia più semplice – fino a 5 centesimi, il che aprirà le porte a un uso intensivo e diffuso.
Intervista/Masciandaro
«Una mossa risolutiva contro i falsari ma non può fermare i traffici illegali»
a motivazione principale del progetto Bce di inserire microchip radio negli euro – almeno per le banconote di taglio maggiore – è quella di contrastare la contraffazione, fenomeno che, stando all’ultimo rapporto dell’Istituto, ha generato nel 2004 quasi 600mila biglietti falsi. Come "effetto collaterale", si potrebbero però anche avere benefici nel campo della lotta al riciclaggio di denaro sporco. Per meglio comprendere le effettive potenzialità di un simile strumento nel contrasto dell’economia illecita, abbiamo interpellato Donato Masciandaro, docente di Economia monetaria al Centro Paolo Baffi dell’Università Bocconi, esperto delle dinamiche dei mercati finanziari illegali.
Professore, quale sarebbe l’impatto di un microchip negli euro su fenomeni quali la falsificazione e il riciclaggio?
Teniamo separati i due casi, assai diversi fra loro, e iniziamo dal primo, la falsificazione. In questo campo, un’iniziativa come quella prospettata avrebbe indubbiamente una sua efficacia, poiché andrebbe a incidere pesantemente – in senso favorevole alle autorità – su una variabile chiave di questo mercato: la probabilità di scoprire il reato, averne le prove e, conseguentemente, incriminare chi lo commette. D’altronde è abbastanza intuitivo: se questi microchip possono identificare in modo univoco e automatico la banconota vera da quella falsa, la lotta ai falsari ne esce senza dubbio rafforzata.
Ma per il riciclaggio il problema non è individuare una banconota falsa...
E infatti, in questo secondo caso, l’efficacia del microchip è meno evidente. L’impatto di una misura del genere sarebbe più o meno rilevante a seconda di quando e di come la banconota frutto di reato si immerge nel settore illegale e poi ne riemerge. Tanto più rimane in quest’ultimo e, all’interno di esso, diventa oggetto di ripetute transazioni, tanto meno il Rfid può essere di aiuto. Per capirci meglio: se un corrotto prende dei soldi e poi li usa per acquistare un’auto di lusso da un concessionario, abbiamo un solo passaggio illegale, e l’identificazione delle banconote attraverso il Rfid consente una tracciabilità quasi perfetta. Nell’ordine: l’uscita dalla Banca centrale verso un’azienda, poi il "buco" della transazione illegale e, infine, la ricomparsa in un autosalone. Peraltro, in una situazione del genere, diventa più semplice anche l’identificazione del soggetto che ha commesso il reato.
Se invece, come spesso accade, il denaro frutto di reato viene utilizzato per altre operazioni illecite?
Ecco il punto. Rimanendo all’esempio di prima: se chi si è fatto corrompere con quei soldi acquista droga, e lo spacciatore che gliela vende se li gioca in una bisca clandestina, il cui gestore li usa per pagare una partita d’armi, il giorno in cui una di quelle banconote dovesse riemergere, supponiamo in una cassa di supermercato di un Paese dell’Est, qual è il valore dell’informazione che il chip mi dà identificando detta banconota? Sapremo che, qualche anno dopo l’ultima operazione legale di cui è stata oggetto, quel biglietto è apparso da tutt’altra parte e in tutt’altro contesto. Ma che cosa sappiamo del percorso intermedio? Poco o nulla, eppure è proprio in quei passaggi che si sono avuti i comportamenti da reprimere. Stefano Gulmanelli
Tutti gli altri usi
I SUPERMERCATI
Merce sempre "riconoscibile"
Il Rfid, il microchip "parlante" è entrato nella catena logistica di magazzini e supermercati per i quali la possibilità di "tracciare" la merce e inserire per ciascun prodotto informazioni varie – ad esempio la data di produzione, i transiti intermedi, l’arrivo sullo scaffale – costituisce una semplificazione enorme.
I PNEUMATICI
Ruote con carta d’identità
La Michelin progetta di inserire nei suoi pneumatici un dispositivo Rfid il cui codice identificativo andrà associato al numero di telaio dell’auto su cui verranno montati. Ciò consentirà di avere preziosi dati sulle prestazioni ma anche – più banalmente – di scoraggiarne il furto, in quanto potranno essere sempre "riconoscibili".
FRIGO INTELLIGENTE
Basta con i cibi scaduti
Un’altra applicazioni del Rfid che potremo vedere in un futuro non lontano comprende la possibilità di "delegare" al frigorifero il compito di verificare la data di scadenza degli alimenti, così da essere avvertiti per tempo.Addirittura l’elettrodomestico potrebbe "fare la spesa" al nostro posto grazie a un collegamento via Internet.
STRADA PARLANTE
Indicazioni a chi viaggia
Grazie al microchip si potrà perfino interagire con una segnaletica stradale intelligente, che scambi con il guidatore o con la vettura informazioni utili – dallo stato del manto stradale, del traffico a indicazioni turistiche sui luoghi attraversati – ma anche dati di controllo, come la velocità, per verificarne la conformità ai limiti.
ARCHIVI SOTTO PELLE
Un aiuto per alcuni malati
Il microchip radio sta infilandosi anche sotto la pelle delle persone. È il caso del "codice a barre umano": il Verichip, un Rfid delle dimensioni di un chicco di riso da iniettare nel braccio. Il suo uso spazia dall’archivio dell’anamnesi clinica – utile nei casi di patologie che causano stati di incoscienza – alla localizzatore di malati di Alzheimer.
SORVEGLIANZA
L’«impianto» per i Vip
Le applicazioni "umane" si moltiplicano: i membri della Procura generale di Città del Messico hanno avuto impiantato un Verichip che ne certifichi l’identità ai fini dell’accesso a documenti riservati.Al Baja Beach Club di Barcellona, invece, i clienti Vip hanno un Rfid sottocutaneo con il quale possono accedere al locale e pagare le consumazioni. (S.Gul.)
Morto l’inventore
Jack Kilby, l’ingegnere del Kansas premio Nobel che ha inventato i circuiti integrati alla base della rivoluzione informatica, è morto a Dallas dopo una breve battaglia contro il cancro.Aveva 81 anni e nel 1958, mentre era impiegato alla Texas Instruments, aveva costruito il primo microchip. La sua idea rese possibile rimpicciolire computer grandi come una stanza alla misura di un palmo di mano, la vera svolta per l’informatica.
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