Protagonismo
Termine identificante la tendenza dell'essere umano a mettersi in evidenza per attirare l'attenzione altrui, onde originare lodi che soddisfino la propria ambizione. É soprattutto tipica dei bambini allorché si trovano in compagnia di adulti, quando si sentono esclusi dall'interesse dei presenti, per cui arrivano ad assumere atteggiamenti anche inconsueti od a compiere azioni spesso per loro del tutto anomale, tendenti a riportarli nella condizione prediletta. Assume la caratteristica di vizio allorché tale tendenza, assolutamente priva di valide motivazioni, viene a caratterizzare il modo d'essere di un adulto quando si trova tra i suoi simili, in più o meno ampi gruppi sociali. Sia nel caso del fanciullo che in quello dell'adulto, la base di tale atteggiamento resta comunque la stessa. Nei casi in cui la tendenza diventa fenomeno individuale sistematico, sempre assunto spontaneamente per insopprimibile desiderio di stupire il prossimo attirandone l'attenzione, allora è interpretabile come eccessiva ed irragionevole espansione dell'ego, e può assumere proporzioni socialmente odiose e moralmente condannabili, in quanto ingiustificate e non certo amichevoli, rappresentando un vero e proprio oltraggio all'intelligenza altrui. Va evitata la cosiddetta critica, come qualsiasi giudizio od addirittura censura, espressa nei confronti di azioni od espressioni di altri, è accettabile solo il confronto di opinioni, magari opposte, mai le prese di posizione finalizzate alla condanna morale per qualcosa che qualcuno ha fatto oppure detto. Come ogni "vizio" non può che essere condannato e combattuto in un'assemblea che aspiri alla costituzione di un'armonia costruttiva, nell'ambito della quale sia consentita la realizzazione di una fraterna e veramente libera palestra di opinioni a confronto. In tale ambito il P. si manifesta con interventi inopportuni, o con l'esposizione di tavole copiate e fatte proprie dall'oratore di turno, oppure con l'inopportuna citazione di termini altisonanti, anche ad effetto, spesso però fuori luogo, che sono quasi sempre incompresi da chi li cita e perlomeno fraintesi da chi li ascolta. Il P. può anche rappresentare un tentativo di coercizione; è di norma originato da un complesso d'inferiorità , oppure dalla volontà di porsi allo stesso livello di quanti sappiano meglio esporre argomenti pregni di cultura e saggezza. Non è da considerarsi P. qualsiasi azione intrapresa per l'esposizione di proprie conoscenze, frutto di ricerca individuale. Al contrario, com’è preciso dovere di ogni persona l'approfondimento di qualsiasi tematica, al meglio delle singole possibilità, spingendo tale azione al limite delle capacità intellettuali e culturali, è anche suo preciso dovere esporre le conclusioni raggiunte, anche solo temporaneamente: è così che ognuno contribuisce al processo evolutivo degli interlocutori più vicini e, indirettamente, a quello dell'intera Umanità. Non facendolo, tradirebbe la fiducia che ha riposto in lui l’assemblea accogliendolo tra le proprie file.. Al riguardo è decisamente più che opportuno ricordare antichi saggi detti, quali "la parola è d'argento, il silenzio è d'oro", oppure "un bel tacer non fu mai scritto", ed ancora "prima di usare la lingua assicurati di aver attivato il cervello". Il silenzio è la dote, la virtù migliore e più costruttiva del vero essere consapevole, e quel tipo particolare di intervento, specie se motivato da superficialità , oscuri rancori o malcelate gelosie, con atteggiamenti più o meno velatamente offensivi nei confronti di una altro, male si adatta alla comunità, dov'è auspicabile l'esclusivo impiego del sacro linguaggio del Cuore. L'affetto da P. non sa usarlo, ed essendo la sua azione decisamente deleteria è decisamente opportuno che si astenga, più o meno volontariamente, dal frequentare i gruppi sociali.
Termine identificante la tendenza dell'essere umano a mettersi in evidenza per attirare l'attenzione altrui, onde originare lodi che soddisfino la propria ambizione. É soprattutto tipica dei bambini allorché si trovano in compagnia di adulti, quando si sentono esclusi dall'interesse dei presenti, per cui arrivano ad assumere atteggiamenti anche inconsueti od a compiere azioni spesso per loro del tutto anomale, tendenti a riportarli nella condizione prediletta. Assume la caratteristica di vizio allorché tale tendenza, assolutamente priva di valide motivazioni, viene a caratterizzare il modo d'essere di un adulto quando si trova tra i suoi simili, in più o meno ampi gruppi sociali. Sia nel caso del fanciullo che in quello dell'adulto, la base di tale atteggiamento resta comunque la stessa. Nei casi in cui la tendenza diventa fenomeno individuale sistematico, sempre assunto spontaneamente per insopprimibile desiderio di stupire il prossimo attirandone l'attenzione, allora è interpretabile come eccessiva ed irragionevole espansione dell'ego, e può assumere proporzioni socialmente odiose e moralmente condannabili, in quanto ingiustificate e non certo amichevoli, rappresentando un vero e proprio oltraggio all'intelligenza altrui. Va evitata la cosiddetta critica, come qualsiasi giudizio od addirittura censura, espressa nei confronti di azioni od espressioni di altri, è accettabile solo il confronto di opinioni, magari opposte, mai le prese di posizione finalizzate alla condanna morale per qualcosa che qualcuno ha fatto oppure detto. Come ogni "vizio" non può che essere condannato e combattuto in un'assemblea che aspiri alla costituzione di un'armonia costruttiva, nell'ambito della quale sia consentita la realizzazione di una fraterna e veramente libera palestra di opinioni a confronto. In tale ambito il P. si manifesta con interventi inopportuni, o con l'esposizione di tavole copiate e fatte proprie dall'oratore di turno, oppure con l'inopportuna citazione di termini altisonanti, anche ad effetto, spesso però fuori luogo, che sono quasi sempre incompresi da chi li cita e perlomeno fraintesi da chi li ascolta. Il P. può anche rappresentare un tentativo di coercizione; è di norma originato da un complesso d'inferiorità , oppure dalla volontà di porsi allo stesso livello di quanti sappiano meglio esporre argomenti pregni di cultura e saggezza. Non è da considerarsi P. qualsiasi azione intrapresa per l'esposizione di proprie conoscenze, frutto di ricerca individuale. Al contrario, com’è preciso dovere di ogni persona l'approfondimento di qualsiasi tematica, al meglio delle singole possibilità, spingendo tale azione al limite delle capacità intellettuali e culturali, è anche suo preciso dovere esporre le conclusioni raggiunte, anche solo temporaneamente: è così che ognuno contribuisce al processo evolutivo degli interlocutori più vicini e, indirettamente, a quello dell'intera Umanità. Non facendolo, tradirebbe la fiducia che ha riposto in lui l’assemblea accogliendolo tra le proprie file.. Al riguardo è decisamente più che opportuno ricordare antichi saggi detti, quali "la parola è d'argento, il silenzio è d'oro", oppure "un bel tacer non fu mai scritto", ed ancora "prima di usare la lingua assicurati di aver attivato il cervello". Il silenzio è la dote, la virtù migliore e più costruttiva del vero essere consapevole, e quel tipo particolare di intervento, specie se motivato da superficialità , oscuri rancori o malcelate gelosie, con atteggiamenti più o meno velatamente offensivi nei confronti di una altro, male si adatta alla comunità, dov'è auspicabile l'esclusivo impiego del sacro linguaggio del Cuore. L'affetto da P. non sa usarlo, ed essendo la sua azione decisamente deleteria è decisamente opportuno che si astenga, più o meno volontariamente, dal frequentare i gruppi sociali.
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