Ugo Biggeri e Terra Futura Marta Giacometti |
Intervista a Ugo Biggeri presidente della Fondazione Culturale Responsabilità Etica Onlus, promotrice di Terra Futura con Adescoop–Agenzia dell’Economia Sociale s.c., in partnership con Arci, Caritas Italiana, Cisl, Fiera delle Utopie Concrete, Legambiente. - La mostra convegno delle buone pratiche di sostenibilità. Che tipo di relazione intercorre fra sostenibilità e futuro del pianeta terra? È ormai evidente che i problemi socioeconomici e quelli ambientali sono le due facce di una stessa medaglia. Non può esserci impegno a fianco degli ultimi senza la tutela delle risorse naturali, né azione per la finanza etica senza l’obiettivo di un nuovo sistema economico, e neppure lotta in difesa dei lavoratori senza la promozione dei diritti dei popoli. Di fronte a un tale livello di interconnessioni, per garantire un futuro alla terra oggi non basta più il solo impegno delle istituzioni, specie di quelle internazionali. Occorre anche un approccio dal basso, dunque scelte di sostenibilità compiute quotidianamente dai cittadini e dalla cosiddetta società civile in tutte le sue forme, oltre che dalle imprese e dalle istituzioni locali e nazionali. Nel diffondere questo messaggio sta la funzione culturale di Terra Futura, ben al di là di una semplice mostra. - Una vera e propria rivoluzione culturale quella di votarsi alla sostenibilità. Quanto importante è che tale scelta venga condivisa a più livelli, affinché un altro mondo possa davvero essere in costruzione? Semplificando, si possono individuare due livelli fondamentali: quello istituzionale, che nasce dalle grandi organizzazioni internazionali passando per gli enti locali sino adarrivare a coordinamenti quali quello di Agenda 21; il secondo, che è quello della gente comune ed è fondamentale che essa veda nell’adozione di “buone pratiche” la possibilità di un futuro piacevole, bello. Ciò è vitale perché i politici governeranno conformemente a criteri di sostenibilità unicamente se una tale richiesta arriverà loro dai cittadini. Il tratto distintivo di Terra Futura sta proprio nel mostrare alle persone anche l’aspetto “ludico” delle buone prassi, quello piacevole, solare, felice: a iniziare dal fatto che per divertirsi non c’è bisogno si consumare una tale quantità di risorse naturali. - Terra Futura è la casa di quanti guardano a modelli di sviluppo e crescita che siano sostenibili. Pure, sotto il suo tetto, accoglie anche rappresentanti del cosiddetto “movimento per la decrescita felice” che, promuovendo logiche di autosufficienza e produzione in proprio, auspica la diminuzione del PIL. In qualità di Presidente della Fondazione Culturale promossa da Banca Etica, in quale di queste due correnti si riconosce maggiormente? Innanzi tutto una premessa: c’è assolutamente bisogno di un’azione molto forte per generare cambiamento e nel suo essere radicale, il movimento della decrescita felice – verso il quale io nutro una forte simpatia - assume un ruolo fondamentale, poiché costringe a porsi delle domande. Detto ciò, credo che in realtà esista una forte convergenza fra le proposte di questa corrente e quelle promosse da Terra Futura. Perciò più che sulle differenze teoriche, ritengo abbia più senso ragionare sul piano pratico e lì le divisioni sono molto meno di quante potrebbero sembrare. Ad iniziare dalla convinzione condivisa che oggi il PIL non sia poi così rappresentativo della crescita reale del benessere e sopratutto non sia un valido indicatore su cui basare le scelte di governo. - Cosa sente di poter dire a quanti si pongono in generale con un atteggiamento scettico di fronte alla possibilità di una reale trasformazione del mondo di oggi? Scetticismo che solitamente aumenta quando ci si domanda in che misura il singolo possa essere un potenziale attore di tale cambiamento... In che termini secondo Terra Futura ognuno di noi può fare la differenza attraverso scelte di vita quotidiana in ogni ambito del vivere e dell’agire? La sostenibilità è innanzi tutto una scelta che permette di sentirci meglio con noi stessi. La tesi di Terra Futura – che la felicità non deriva tanto da ciò che si possiede, quanto dalle relazioni che si costruiscono – punta prima di tutto a ridare senso all’esistenza di ognuno. Realizzare quanto distorta sia la visione dominante che ci identifica solo in termini di consumatori, è già di per sé un enorme risultato. Lavoriamo 340 giorni all’anno senza aver tempo da dedicare ai nostri figli, solo per riuscire ad andare 15 giorni al mare d’estate; produciamo per poter acquistare l’ultima novità sul mercato in un circolo vizioso che ci rende perennemente insoddisfatti.. TerraFutura offre innanzi tutto un’opportunità per rompere questa spirale. Secondariamente esiste senz’altro anche il livello della consapevolezza politica. E agli scettici vorrei solo ricordare che tutti i grandi cambiamenti sono avvenuti quando i singoli si sono riuniti, uno dopo l’altro, nel nome di un interesse comune. Ci vorrà ancora molto tempo, certo, però il fatto che ad esempio quasi tutte le imprese stanno ormai cercando di rivestirsi di una qualche patina di sostenibilità, dimostra che considerano quanto la gente domanda. E visto che – almeno in numeri assoluti - la richiesta di sostenibilità proviene ancora da una minoranza di persone, questo è un ulteriore segnale di speranza, poiché dimostra quanto il potere di pressione dal basso possa condizionare le scelte. - Terra Futura giungerà quest’anno alla sua IV edizione: come può definire il trend delle presenze sempre più numerose all’evento e dei consensi progressivamente acquisiti? Può tale trend essere interpretato come un segnale di speranza? È senz’altro un segnale di speranza come lo è il fatto che ormai Terra Futura si stia avviando ad una dimensione internazionale. Così come altrettanto positivamente si deve guardare a tutte quelle fiere e mercatini locali che costellano l’intero paese in ogni occasione possibile e che, sull’esempio di Terra Futura, propongono un confronto ed una riflessione sulle buone pratiche. Un altro obiettivo significativo a cui in parte abbiamo contribuito è che nell’agenda politica della grandi organizzazioni, enti pubblici, istituzioni ed anche di alcune imprese, le questioni della sostenibilità sono all’ordine del giorno. Tutto questo nella consapevolezza che la strada da percorrere è ancora lunga, visto che, in generale, si fa ancora molta fatica ad adottare una visione globale quando si affronta questo tipo di problematiche. - Il lavoro, il filo rosso sotteso a questa IV edizione di Terra Futura, è una delle sfide sulla quale tutti i governi e le società sono ormai chiamati a misurarsi: garantire questo diritto, specie alle giovani generazioni, è oggi un’urgenza. Condivide anche lei, specie con riferimento all’Italia, che quella del lavoro sia una priorità assoluta? Sì,lo credo. In senso più ampio Terra Futura pone l’enfasi sul bisogno di ripensare a questa categoria, poiché non è sostenibile che la produzione – così com’è intesa oggi – continui a ritmi tali e votata alla crescita del consumo. Occorre ri-concepire il lavoro affinché la produttività, i consumi e gli stili di vita non siano d’ostacolo alla possibilità di garantire a tutti equità, giustizia e accesso ai beni comuni. Bisogna capire quali opportunità e risposte il mondo del lavoro possa dare ai grandi temi della sostenibilità ambientale e sociale. - Qual è la via indicata da Terra Futura per risolvere l’apparente impasse fra il bisogno di lavorare - specie per le giovani generazioni - e quello di rispettare i criteri di sostenibilità? Non abbiamo la soluzione, Terra Futura però apre il campo ad una seria discussione in tal senso. Alcune proposte sono già molto chiare, prima fra tutte quella di detassare il fattore lavoro a favore di una maggiore tassazione dell’uso delle risorse. Sicuramente si debbono poi ripensare le politiche di delocalizzazione del lavoro che, ad oggi, mirano unicamente ad abbassare i costi a discapito dell’occupazione. L’informatica è un altro campo dove bisogna intervenire, poiché le potenzialità offerte da questo settore si stanno sempre più piegando alle logiche dello sfruttamento piuttosto che a quelle della creazione di nuovi posti di lavoro: basti pensare alla logica sottesa alle compagnie internazionali di call center... Di nuovo, in tutto ciò, occorre adottare una prospettiva globale se si vuole imprimere efficacia ed incisività alle nostre azioni. |
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