La dottrina esoterica di Edouard Schuré
Introduzione di "I grandi iniziati. Storia segreta delle religioni. Rama, Krishna, Ermete, Mosè, Orfeo, Pitagora, Platone, Gesù".
La peggiore infermità della nostra epoca [Ndr prima edizione del libro 1889] è che Scienza e Religione si presentano come due forze nemiche e antitetiche. Infermità intellettuale, tanto più perniciosa in quanto viene dall'alto e si insinua in maniera subdola ma inarrestabile nell'animo di tutti, come sottile veleno respirato con l'aria. Ora, ogni infermità dell'intelletto diviene a lungo andare infermità dell'anima e, di conseguenza, infermità sociale.
Fino a quando il cristianesimo si limitò ad affermare ingenuamente la fede cristiana in un'Europa ancora semibarbara quale era l'Europa del Medioevo, esso fu la più grande delle forze morali che plasmò l'anima dell'uomo moderno. Fino a quando la scienza sperimentale, apertamente ricostituita nel XVI secolo, si limitò a rivendicare i diritti legittimi della ragione e della sua illimitata libertà, essa fu la più grande delle forze intellettuali che rinnovò il volto del mondo, liberò l'uomo dalle sue catene secolari e fornì basi indistruttibili allo spirito umano.
Ma da quando la Chiesa, impossibilitata a dimostrare il suo dogma primario di fronte alle obiezioni della scienza, vi si è rinchiusa come in una casa senza finestre, opponendo la legge alla ragione come un comandamento assoluto e indiscutibile; da quando la Scienza, inebriata dalle sue scoperte nel mondo fisico, astraendosi dal mondo psichico e intellettuale, si è fatta agnostica nel suo metodo, materialista nei suoi principi come nei suoi fini; da quando la Filosofia, disorientata e impotente fra questi due fuochi, ha in certo qual modo abdicato ai suoi diritti per cadere in uno scetticismo trascendente da quando è accaduto tutto ciò, si è verificata una profonda frattura nell'animo della società come in quello dei singoli. Quel conflitto, in un primo tempo utile e necessario in quanto sanciva i diritti della Religione e della Scienza, ha finito per diventare causa di impotenza e di inaridimento. La Religione soddisfa le esigenze del cuore, e di qui la sua eterna magia; la Scienza, quelle della mente, della forza invincibile. Ma da molto tempo ormai queste due potestà non si comprendono più. La Religione senza prove e la Scienza senza speranza si confrontano e si scontrano in una sfida senza vincitori.
Ne nasce una contraddizione profonda, una guerra tacita e occulta non solamente fra Stato e Chiesa ma all'interno della stessa Scienza, in seno a tutte le chiese e finanche nell'intima coscienza di ogni individuo pensante. Chiunque noi siamo, infatti, a qualsiasi scuola filosofica, estetica e sociale apparteniamo, portiamo dentro di noi questi due mondi nemici, apparentemente irreconciliabili, generati dalle due esigenze inalienabili dell'uomo: l'esigenza scientifica e l'esigenza religiosa. Questa situazione, che si trascina da oltre un secolo, ha senza dubbio contribuito non poco allo sviluppo delle facoltà umane, mantenendole in continua tensione, le une contro le altre. Ha infuso alla poesia e alla musica accenti di straordinaria grandiosità e struggimento. Ma oggi, questa tensione prolungata e iperacuta ha prodotto l'effetto opposto. Come nell'ammalato alla febbre segue la spossatezza, essa si è trasformata in marasma, in disgusto, in impotenza. La Scienza odierna si occupa esclusivamente del mondo fisico e materiale; la filosofia morale ha perduto la guida delle Intelligenze; la Religione ancora governa, in certo qual modo, le masse ma non regna più sui vertici della società; sempre grande per quanto concerne la carità, non irradia più la sua luce di fede. In questi nostri tempi [N.d.r. siamo alla fine del 1800], le guide intellettuali sono degli increduli o degli scettici; del tutto sinceri e leali, ma che dubitano delle loro arti e si scrutano l'un l'altro sorridendo, come gli auguri romani. In pubblico e in privato, predicono le catastrofi sociali senza trovarne un rimedio; o ammantano i loro funesti vaticini con cauti eufemismi. Sotto tali auspici, letteratura ed arte hanno perduto il senso del divino. Disavvezzi agli orizzonti eterni, moltissimi giovani cadono in quello che i loro nuovi maestri chiamano naturalismo, svilendo così il bel nome di Natura. Poiché in quel bel termine altro non fanno se non l'apologia dei bassi istinti, la belletta del vizio o la raffigurazione compiacente delle nostre banalità sociali; insomma, la negazione sistematica dell'anima e dell'intelletto. E la povera Psiche, perdute ormai le sue ali, geme e sospira nell'intimo di quegli stessi che la insultano e la annientano.
A forza di materialismo, di positivismo e di scetticismo, questa fine di secolo è giunta a una falsa idea della Verità e del Progresso.
I nostri scienziati che si servono del metodo sperimentale di Bacone per studiare l'universo visibile con meravigliosa precisione e mirabili risultati, si fanno un concetto totalmente esteriore e materialistico della Verità, convinti di raggiungerla grazie a un coacervo di fatti. Nel loro campo, hanno ragione. La cosa grave è che i nostri filosofi e i nostri moralisti hanno finito per pensarla come loro. A questa stregua, senza dubbio le cause primarie e i fini ultimi rimarranno per sempre impenetrabili allo spirito umano. Supponiamo, infatti, di conoscere esattamente quanto succede, materialmente parlando, in tutti i pianeti del sistema solare - il che, tra parentesi, sarebbe una straordinaria base di induzione; supponiamo anche di conoscere chi siano gli abitanti dei satelliti di Sirio e delle varie stelle della Via Lattea. Certo, sarebbe meraviglioso conoscere tutto questo ma ne sapremmo forse di più sulla totalità della nostra massa stellare, per non parlare della nebulosa di Andromeda e della nube ardente di Magellano? Ciò fa sì che la nostra epoca concepisca lo sviluppo dell'umanità come un'eterna marcia verso una verità indefinita, indefinibile e per sempre inaccessibile.
È la concezione della filosofia positivista di Auguste Comte e di Herbert Spencer che prevale al giorno d'oggi.
Per i sapienti e i teosofi dell'Oriente e della Grecia, la Verità era invece tutt'altra cosa. Sicuramente sapevano che non è possibile abbracciarla ed equilibrarla senza una sommaria conoscenza del mondo materiale, ma sapevano anche che la verità risiede soprattutto dentro di noi, nei principi intellettuali e nella vita spirituale dell'anima. Per loro, l'anima era la sola, la divina realtà e la chiave dell'universo. Concentrando in essa la loro volontà, sviluppandone le facoltà latenti, raggiungevano quel focolare vivente che chiamavano Dio, la cui luce consentiva di comprendere gli uomini e gli esseri viventi. Per loro, ciò che noi definiamo Progresso, vale a dire la storia del mondo e dell'uomo, altro non era che l'evoluzione nel tempo e nello spazio di quella Causa centrale e di quel Fine ultimo. Ma credete forse che quei teosofi si dedicassero alla contemplazione pura, che fossero degli sterili sognatori, degli stiliti appollaiati in cima alle loro colonne? Errore. Non ci furono al mondo uomini d'azione maggiori di loro, nell'accezione più feconda, più incalcolabile del termine. Brillano come astri di prima grandezza nel firmamento delle anime. I loro nomi sono Krishna, Buddha, Zoroastro, Ermete, Mosè, Pitagora, Gesù - possenti forgiatori di spiriti, formidabili scuoti tori di anime, salutari organizzatori delle società. Non vivendo che per le proprie idee, sempre pronti a morire, consapevoli che la morte in nome della Verità è l'atto efficace e supremo, hanno creato le scienze e le religioni, le lettere e le arti, il cui umore ancora ci alimenta e ci dà vita. Cosa producono invece il positivismo e lo scetticismo dei nostri giorni? Una generazione arida, senza ideali, senza luce e senza fede, che non crede né all'anima né al futuro dell'umanità, né a questa vita né all'altra; senza forza di volontà, dubbiosa di se stessa e della libertà dell'uomo.
«Dai loro frutti li giudicherete», disse Gesù. Queste parole del Maestro dei maestri si applicano alle dottrine come agli uomini. E una riflessione si impone: o la Verità è sempre irraggiungibile per l'uomo o essa è stata soprattutto appannaggio dei più eccelsi sapienti e dei primi iniziatori della terra. Si trova, dunque, alla base di tutte le grandi religioni e nei testi sacri di tutti i popoli. Solo, bisogna saperla scoprire e trarla alla luce.
Se si osserva la storia delle religioni con gli occhi aperti, da questo epicentro di verità che solo può darci l'iniziazione interiore, si rimane a un tempo sorpresi e incantati: ciò che si scorge non ha somiglianza alcuna con gli insegnamenti della Chiesa, che limita la rivelazione al cristianesimo e non l'ammette che nel suo significato primario. E ben poco somiglia all'insegnamento scientifico puramente naturalistico delle nostre Università; insegnamento che, pure, si colloca in una prospettiva più ampia, ponendo tutte le religioni su uno stesso piano, in base ad un unico metodo di indagine. Profonda è la loro erudizione e mirabile il loro zelo; ma non si sono ancora innalzati al punto di vista dell'esoterismo comparato che mostra la storia delle religioni e dell'umanità in una luce del tutto nuova. Vediamo cosa si scorge da quella altezza.
Tutte le grandi religioni hanno una storia esteriore e una storia interiore; apparente una, nascosta l'altra. Per storia esteriore intendo i dogmi e i miti insegnati pubblicamente nei templi e nelle scuole, riconosciuti nel culto e nelle superstizioni popolari. Per storia interiore, intendo la sapienza profonda, la dottrina segreta, l'azione occulta dei grandi iniziati, profeti o riformatori che quelle stesse religioni hanno creato, sostenuto, diffuso.
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Introduzione di "I grandi iniziati. Storia segreta delle religioni. Rama, Krishna, Ermete, Mosè, Orfeo, Pitagora, Platone, Gesù".
La peggiore infermità della nostra epoca [Ndr prima edizione del libro 1889] è che Scienza e Religione si presentano come due forze nemiche e antitetiche. Infermità intellettuale, tanto più perniciosa in quanto viene dall'alto e si insinua in maniera subdola ma inarrestabile nell'animo di tutti, come sottile veleno respirato con l'aria. Ora, ogni infermità dell'intelletto diviene a lungo andare infermità dell'anima e, di conseguenza, infermità sociale.
Fino a quando il cristianesimo si limitò ad affermare ingenuamente la fede cristiana in un'Europa ancora semibarbara quale era l'Europa del Medioevo, esso fu la più grande delle forze morali che plasmò l'anima dell'uomo moderno. Fino a quando la scienza sperimentale, apertamente ricostituita nel XVI secolo, si limitò a rivendicare i diritti legittimi della ragione e della sua illimitata libertà, essa fu la più grande delle forze intellettuali che rinnovò il volto del mondo, liberò l'uomo dalle sue catene secolari e fornì basi indistruttibili allo spirito umano.
Ma da quando la Chiesa, impossibilitata a dimostrare il suo dogma primario di fronte alle obiezioni della scienza, vi si è rinchiusa come in una casa senza finestre, opponendo la legge alla ragione come un comandamento assoluto e indiscutibile; da quando la Scienza, inebriata dalle sue scoperte nel mondo fisico, astraendosi dal mondo psichico e intellettuale, si è fatta agnostica nel suo metodo, materialista nei suoi principi come nei suoi fini; da quando la Filosofia, disorientata e impotente fra questi due fuochi, ha in certo qual modo abdicato ai suoi diritti per cadere in uno scetticismo trascendente da quando è accaduto tutto ciò, si è verificata una profonda frattura nell'animo della società come in quello dei singoli. Quel conflitto, in un primo tempo utile e necessario in quanto sanciva i diritti della Religione e della Scienza, ha finito per diventare causa di impotenza e di inaridimento. La Religione soddisfa le esigenze del cuore, e di qui la sua eterna magia; la Scienza, quelle della mente, della forza invincibile. Ma da molto tempo ormai queste due potestà non si comprendono più. La Religione senza prove e la Scienza senza speranza si confrontano e si scontrano in una sfida senza vincitori.
Ne nasce una contraddizione profonda, una guerra tacita e occulta non solamente fra Stato e Chiesa ma all'interno della stessa Scienza, in seno a tutte le chiese e finanche nell'intima coscienza di ogni individuo pensante. Chiunque noi siamo, infatti, a qualsiasi scuola filosofica, estetica e sociale apparteniamo, portiamo dentro di noi questi due mondi nemici, apparentemente irreconciliabili, generati dalle due esigenze inalienabili dell'uomo: l'esigenza scientifica e l'esigenza religiosa. Questa situazione, che si trascina da oltre un secolo, ha senza dubbio contribuito non poco allo sviluppo delle facoltà umane, mantenendole in continua tensione, le une contro le altre. Ha infuso alla poesia e alla musica accenti di straordinaria grandiosità e struggimento. Ma oggi, questa tensione prolungata e iperacuta ha prodotto l'effetto opposto. Come nell'ammalato alla febbre segue la spossatezza, essa si è trasformata in marasma, in disgusto, in impotenza. La Scienza odierna si occupa esclusivamente del mondo fisico e materiale; la filosofia morale ha perduto la guida delle Intelligenze; la Religione ancora governa, in certo qual modo, le masse ma non regna più sui vertici della società; sempre grande per quanto concerne la carità, non irradia più la sua luce di fede. In questi nostri tempi [N.d.r. siamo alla fine del 1800], le guide intellettuali sono degli increduli o degli scettici; del tutto sinceri e leali, ma che dubitano delle loro arti e si scrutano l'un l'altro sorridendo, come gli auguri romani. In pubblico e in privato, predicono le catastrofi sociali senza trovarne un rimedio; o ammantano i loro funesti vaticini con cauti eufemismi. Sotto tali auspici, letteratura ed arte hanno perduto il senso del divino. Disavvezzi agli orizzonti eterni, moltissimi giovani cadono in quello che i loro nuovi maestri chiamano naturalismo, svilendo così il bel nome di Natura. Poiché in quel bel termine altro non fanno se non l'apologia dei bassi istinti, la belletta del vizio o la raffigurazione compiacente delle nostre banalità sociali; insomma, la negazione sistematica dell'anima e dell'intelletto. E la povera Psiche, perdute ormai le sue ali, geme e sospira nell'intimo di quegli stessi che la insultano e la annientano.
A forza di materialismo, di positivismo e di scetticismo, questa fine di secolo è giunta a una falsa idea della Verità e del Progresso.
I nostri scienziati che si servono del metodo sperimentale di Bacone per studiare l'universo visibile con meravigliosa precisione e mirabili risultati, si fanno un concetto totalmente esteriore e materialistico della Verità, convinti di raggiungerla grazie a un coacervo di fatti. Nel loro campo, hanno ragione. La cosa grave è che i nostri filosofi e i nostri moralisti hanno finito per pensarla come loro. A questa stregua, senza dubbio le cause primarie e i fini ultimi rimarranno per sempre impenetrabili allo spirito umano. Supponiamo, infatti, di conoscere esattamente quanto succede, materialmente parlando, in tutti i pianeti del sistema solare - il che, tra parentesi, sarebbe una straordinaria base di induzione; supponiamo anche di conoscere chi siano gli abitanti dei satelliti di Sirio e delle varie stelle della Via Lattea. Certo, sarebbe meraviglioso conoscere tutto questo ma ne sapremmo forse di più sulla totalità della nostra massa stellare, per non parlare della nebulosa di Andromeda e della nube ardente di Magellano? Ciò fa sì che la nostra epoca concepisca lo sviluppo dell'umanità come un'eterna marcia verso una verità indefinita, indefinibile e per sempre inaccessibile.
È la concezione della filosofia positivista di Auguste Comte e di Herbert Spencer che prevale al giorno d'oggi.
Per i sapienti e i teosofi dell'Oriente e della Grecia, la Verità era invece tutt'altra cosa. Sicuramente sapevano che non è possibile abbracciarla ed equilibrarla senza una sommaria conoscenza del mondo materiale, ma sapevano anche che la verità risiede soprattutto dentro di noi, nei principi intellettuali e nella vita spirituale dell'anima. Per loro, l'anima era la sola, la divina realtà e la chiave dell'universo. Concentrando in essa la loro volontà, sviluppandone le facoltà latenti, raggiungevano quel focolare vivente che chiamavano Dio, la cui luce consentiva di comprendere gli uomini e gli esseri viventi. Per loro, ciò che noi definiamo Progresso, vale a dire la storia del mondo e dell'uomo, altro non era che l'evoluzione nel tempo e nello spazio di quella Causa centrale e di quel Fine ultimo. Ma credete forse che quei teosofi si dedicassero alla contemplazione pura, che fossero degli sterili sognatori, degli stiliti appollaiati in cima alle loro colonne? Errore. Non ci furono al mondo uomini d'azione maggiori di loro, nell'accezione più feconda, più incalcolabile del termine. Brillano come astri di prima grandezza nel firmamento delle anime. I loro nomi sono Krishna, Buddha, Zoroastro, Ermete, Mosè, Pitagora, Gesù - possenti forgiatori di spiriti, formidabili scuoti tori di anime, salutari organizzatori delle società. Non vivendo che per le proprie idee, sempre pronti a morire, consapevoli che la morte in nome della Verità è l'atto efficace e supremo, hanno creato le scienze e le religioni, le lettere e le arti, il cui umore ancora ci alimenta e ci dà vita. Cosa producono invece il positivismo e lo scetticismo dei nostri giorni? Una generazione arida, senza ideali, senza luce e senza fede, che non crede né all'anima né al futuro dell'umanità, né a questa vita né all'altra; senza forza di volontà, dubbiosa di se stessa e della libertà dell'uomo.
«Dai loro frutti li giudicherete», disse Gesù. Queste parole del Maestro dei maestri si applicano alle dottrine come agli uomini. E una riflessione si impone: o la Verità è sempre irraggiungibile per l'uomo o essa è stata soprattutto appannaggio dei più eccelsi sapienti e dei primi iniziatori della terra. Si trova, dunque, alla base di tutte le grandi religioni e nei testi sacri di tutti i popoli. Solo, bisogna saperla scoprire e trarla alla luce.
Se si osserva la storia delle religioni con gli occhi aperti, da questo epicentro di verità che solo può darci l'iniziazione interiore, si rimane a un tempo sorpresi e incantati: ciò che si scorge non ha somiglianza alcuna con gli insegnamenti della Chiesa, che limita la rivelazione al cristianesimo e non l'ammette che nel suo significato primario. E ben poco somiglia all'insegnamento scientifico puramente naturalistico delle nostre Università; insegnamento che, pure, si colloca in una prospettiva più ampia, ponendo tutte le religioni su uno stesso piano, in base ad un unico metodo di indagine. Profonda è la loro erudizione e mirabile il loro zelo; ma non si sono ancora innalzati al punto di vista dell'esoterismo comparato che mostra la storia delle religioni e dell'umanità in una luce del tutto nuova. Vediamo cosa si scorge da quella altezza.
Tutte le grandi religioni hanno una storia esteriore e una storia interiore; apparente una, nascosta l'altra. Per storia esteriore intendo i dogmi e i miti insegnati pubblicamente nei templi e nelle scuole, riconosciuti nel culto e nelle superstizioni popolari. Per storia interiore, intendo la sapienza profonda, la dottrina segreta, l'azione occulta dei grandi iniziati, profeti o riformatori che quelle stesse religioni hanno creato, sostenuto, diffuso.
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